Era da tanto tempo che desideravo visitare il Labirinto della Fondazione Arnaldo Pomodoro. Lo immaginavo come un posto enorme, scuro, pieno di fascino. E così è stato.
Entrare nel Labirinto è come fare un viaggio da esploratori nell’arte dello scultore e scoprire che i segni, la scrittura e gli elementi caratteristici di Pomodoro sono tutti nella cultura classica, e forse ancora più indietro hanno le radici nell’archeologia.
Si entra nella sede di Fendi, in via Solari: là dove un tempo sorgeva la fabbrica di idraulica Riva Calzoni. Spazi enormi, oltre 3mila metri quadrati e soffitti altissimi: qui, scesa una scala fatta ad anfiteatro, si scopre una porta pesantissima e fitta fitta di segni, quelli classici di Arnaldo Pomodoro, che fa da ingresso al Labirinto.
Aprire la porta è come entrare in un mondo da predatori dell’Arca Perduta, in un mix di richiami di piramidi egiziane, messicane e scritture assiro-babilonesi. La luce è soffusa, arriva flebile da piccole feritoie, attorno è tutto buio e mentre la guida spiega (qui si accede solo in visite di gruppo; cliccate qui per tutte le informazioni) sembra di essere d’improvviso calati in un altro tempo.
Per Arnaldo Pomodoro il Labirinto è metafora del racconto e della vita che si snoda attraverso le sale e le quattro porte che si attraversano lungo il percorso. Attorno sì è circondati da opere in rame, creta e fiberglass: sembra tutto «pesante», imperioso. Eppure quando esco percepisco solo una sensazione di leggerezza e ammirazione.
Il Labirinto della Fondazione Arnaldo Pomodoro si trova in via Solari, 35